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Pettoranello è l’ultimo paese dove, procedendo da Isernia verso Campobasso, è presente la coltivazione dell’ulivo. Il clima dolce e assolato del versante esposto a ponente ha favorito da sempre la presenza di quest’albero nel territorio. In autunno le persone sono intente alla raccolta delle olive. Nel mio paese il lavoro si ripete con ritmi antichi, nulla è cambiato, i mezzi meccanici non hanno sostituito il lavoro manuale. Per raccogliere i frutticini lucenti e scivolosi, bianchi e neri, si va nei campi, non troppo presto per l’abbondante rugiada che bagna tutta la vegetazione, muniti di scale tendoni e cesoie che serviranno, queste, per il taglio di eventuali rami di troppo, o scomodi da pulire. I tendoni si stendono sotto gli alberi per raccogliere le olive che a pioggia cadono strappate dalle mani dei contadini, che arrampicati sulle scale sono attenti a sbirciare rimuovendo tra i rami per non lasciare nessun acino in pasto agli uccelli, Le ore della giornata sono scandite dal saliscendi delle persone che dedite al lavoro, passano di albero in albero, mentre gioiose e contente assistono al cadere silenzioso, con piccoli tonfi delle olive mature. Solo una brevissima pausa è concessa per consumare una colazione fatta di pane e companatico.
  Silenziosa è anche l’aria che si respira intorno, dato che le persone impegnate nel lavoro sono poche. Spesso è solo un uomo e per giunta anziano che mentre separa i frutti parla con se stesso rievocando, in cuor suo i tempi passati, quando questo lavoro era allietato da una piacevole compagnia, solidale e affettuosa che rendeva tutto meno faticoso. Io stessa ricordo quando i miei familiari attendevano alla raccolta delle olive nei campi già coperti di neve: non era raro vedere piccoli fuochi accesi nelle vicinanze degli alberi che servivano a riscaldare per poco tempo le mani intirizzite dei lavoratori e ad intiepidire i visi arrossati dal freddo e ricurvi sul fumo acre ma odoroso che ne usciva. Poco tempo poiché subito si doveva risalire sugli alberi per procedere al lavoro, dato che il giorno già breve avrebbe ceduto il posto all’oscurità. Le campagne erano piene di voci di colori e di rumori che si spegnevano via via che la gente verso sera faceva ritorno a casa con i sacchi pieni di olive caricati sugli asini e con una capra al seguito. Ma il lavoro continuava anche durante la serata; dopo, consumate le parche cene, ci si riuniva accanto al focolare e intanto si procedeva alla pulitura dei frutti raccolti. Era necessario ripulire le olive dalle foglie e dai residui di ceppi frammisti, perciò ci si muniva di recipienti rotondi col fondo a feritoia e si procedeva nel lavoro. Le mani si intrecciavano a girare e rigirare i piccoli frutti negli stacci accarezzandoli per il prezioso olio che avrebbero prodotto di li a poco. Le foglie di scarto alimentavano il fuoco del camino e saltavano sulla brace friggendo come se si scottassero. Dai comignoli delle case usciva un piacevole odore di fumo che si poteva percepire camminando per le vie del paese. Le serate erano piacevoli durante la pulitura delle olive, si parlava di tutto, dei fatti del paese, delle cose accadute e del passato, mentre i ragazzi giocavano tra i sacchi fino a quando presi dal sonno si appisolavano ciondoloni sulle sedie spesso cadendo. Io stessa molto volte portavo il segno di tali cadute. Quando tutto il lavoro era finito, si portavano le olive al frantoio  per ricavare il prezioso olio, tanto prezioso che a dire del medico di allora era da considerarsi in molti casi, migliore della medicina. E nel mio paese dove per Natale si usavano fare i “torcinelli” (pasta lievitata fritta nell’olio), si doveva procedere in fretta perché era buon auspicio usare l’olio nuovo per questo semplice dolce di natale. Vorrei concludere il mio scritto con un proverbio sulle olive che suona così: “bianca sono e nera mi faccio, casco a terra e non mi schiaccio, sono nata per gentilezza, per guarire il tuo palato”.