I resti di quello che fu il Castello di Riporso si trovano nei pressi del comune di Longano, in quel territorio che, il Catalogus Baronum, identificava come feudo Erivorzam (in seguito denominato Ripursa, Riporsi, Riporci o delle Riporse).
Secondo il già citatato Catalogo (1150-1168) il feudo venne concesso a tale Bartolomeo figlio di Giroldi[1].
Fino al 1268, ovvero alla sconfitta di Corradino di Svevia, il feudo dev'esser appartenuto alla famiglia Ribursa da cui il nome del castello.
Dal 1500 al 1544 dovrebbe essere appartenuto alla famiglia Gaetani[2] (presumibilmente seguendo le vicissitudini del contiguo feudo di Longano[3]).
Nel 1630 i cittadini di Isernia ottennero che il feudo fosse acquistato da due concittadini insieme ai feudi di Roccaravallo e Sasso e le terre demaniali che il sovrano, dimentico dei privilegi concessi alla cittadina pentra da Carlo V[4], aveva inserito nella terre destinate alla vendita[5].
Successivamente lo troviamo dato in dono dal padre, Diego d'Avalos, a Cesare Michelangelo d’Avalos[6], insieme ai già menzionati feudi di Roccaravallo e Sasso e alla città di Isernia[7].
L’ 8 aprile 1745 venne poi acquistato, con regio assenso, dal Conte Don Adriano Antonio Carafa della Spina con il denaro e per conto del Principe di Pettoranello Don Eustachio Caracciolo. Il Carafa tenne per se unicamente il titolo di signore di Riporci, di cui venne investito il 21 dicembre 1745, mentre il feudo divenne parte integrante del principato di Pettoranello[8].
[1] Bartholomeus filius Giraldi tenet in capite Sanctam Justam, et medietatem Sancti Viti et Erivorzam, et Sanctum Agavitum.
[2] Fonte: Centro studi Sanza d’Alena.
[3] Camillo Gaetani, nel 1541, vende il feudo di Longano a Fabrizio del Tufo con il patto del retrovendendo, diritto successivamente ceduto a Niccolò Maiorana che lo esercita contro il del Tufo per poi vendere, nel 1544, il feudo riscattato a Berardino di Somaya (famiglia originaria della Toscana) per la somma di 4500 ducati
[4] Carlo V° incluse l’università demaniale Isernia nel demanio regio con disposizione agli eredi di non alienarla.
[5] I cittadini di Isernia offrirono al regio Fisco dapprima 4000 ducati d’oro (corrispondenti a 6000 ducati) ed in seguito ne versarono altri 6000 con l’accordo che la città rimesse nel demanio regio e continuasse a godere delle rendite delle ghiande dei feudi. Ciononostante nel 1639 il Fisco rimise in vendita l’università che gli abitanti riscattarono per 7000 ducati.
[6] Fonte: “I d’Avalos – una grande famiglia aristocratica napoletana nel Settecento” di Flavia Luise.
[7] Dai terraggi del feudo concessi ai coloni, i d’Avalos ricevevano nel 1736 una rendita di 45 tomoli di grano.
[8] Compravendita ricostruita negli atti della Camera Sommaria (Cedolari, vol.18 – foll. 559 t. – 561 t.).