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Il 30 settembre 1860 la cittadina di Isernia si era sollevata e ribellata al governo provvisorio di Giuseppe Garibaldi, allorché, per evitare che il moto di reazione si allargasse, Garibaldi decise, su sollecitazioni di Girolamo Pallota (pro-dittatore di Bojano), di inviare due battaglioni comandati da suoi ufficiali tra cui: il Col. Francesco Nullo.

Il Nullo era un garibaldino bergamasco di vecchia data che, prima della campagna dei Mille, aveva già partecipato alle 5 giornate di Milano nel ’48 e alla Repubblica Romana. Prese comando il 14 ottobre a Maddaloni dove stanziava la Legione Matese.

La Legione costituita da poco più di un mese, con il riconoscimento di Nino Bixio, era formata per lo più, dai Cacciatori Irpini, volontari che si erano distinti nella battaglia del Volturno, e da una fanfara di trentadue persone di Apice.
Tra le direttive che Garibaldi aveva impartito al Nullo c’era anche quella di attendere a Bojano e di non muoversi prima del 20 ottobre, al fine di aspettare il Gen. Cialdini, che stava scendendo con le truppe sabaude verso il Macerone, per poi attaccare la cittadina pentra su due lati. Ma il Nullo, improvvisamente, incurante delle voci che narravano, in quel di Isernia, di oltre mille garibaldini trucidati e decapitati, per ornare le mura della città di teste col berretto rosso, e sottostimando la forza dei cafoni (contadini) di supporto all’esercito borbonico, la mattina del 17 ottobre comandò le truppe di avvicinarsi ad Isernia.


Giunti nei pressi di Castelpetroso qualcosa non andava, stranamente il paese era deserto. Il Mag. Caldesi suggerì di arrestarsi lì, ma il Nullo decise di occupare Pettoranello.

Arrivati all'osteria sulla consolare alle falde di Pettoranello il Cap. Zasio schierò mezzo battaglione ed i volontari della compagnia beneventana di De Marco, sui colli Montano, Cacchito, Cesafatica e forse su Sierra d’Ambla. Nei pressi della Taverna rimase il Mag. Caldesi con 60 uomini di riserva e l’ambulanza, mentre Alberto Mario con l’altra metà della compagnia, circa seicento uomini, occupò le pendici del colle di Pettoranello in direzione di Isernia. Intanto gli ufficiali entrarono in Pettoranello dove furono ospitati e rifocillati dalla famiglia Santoro[1].

Durante la sosta, mentre il Nullo dava dimostrazione di abile musicista, suonando il pianoforte[2] (ancor oggi custodito nel palazzo Santoro), dai monti di Castelpetroso si avvicinavano sempre più i cafoni reazionari pronti all’agguato e i Regii filo borbonici avanzavano da Isernia. 

Di lì a poco ebbe inizio il conflitto ben descritto da Domizio Tagliaferri (bojanese intruppato nella legione) nel: La spedizione di Isernia, articolo pubblicato su “La Lega del Bene”, n. 28, del giugno 1890, da Alberto Mario nel suo: La Camicia Rossa e da Pietro Valente: Il 1860 a Isernia, Pettoranello e Carpinone – Notizie storiche (inedito).

Il colonnello Nullo che era partito al galoppo, con tutto lo stato maggiore, verso il fronte di Isernia, si avvide subito di esser stato stretto tra due fuochi, quindi ripiegò verso Bojano con la promessa di ritornare con i rinforzi.

Sebbene il colonnello riuscì a riparare in Bojano i rinforzi mancarono ad arrivare. La disfatta dei garibaldini fu totale, sbandati per le campagne furono uccisi, derubati, trucidati, decapitati, spogliati, evirati e bruciati vivi, dai cafoni e dalle loro donne al grido di: Viva Francesco II e Viva Maria, nei pressi di Castelpetroso come a Carpinone, per tutta la notte del 17 ottobre e il giorno successivo.

Una scena della reazione di Isernia
illustrazione tratta da "Il Mondo Illustrato -Giornale universale"
Torino, 1861 

“Sbigottiti dalle grida selvagge, dalla furia delle donne cagne scatenate, più che dalla moltitudine degli armati che innumerevole si avventava. Poveri Cavalieri! Il giorno appresso il tenente Candiani li trovò morti, nudi, oltraggiati sulla via.” [Da Quarto al Volturno: Notarelle di uno dei Mille – di Giuseppe Cesare Abba]

Tra le tante vittime di quella ecatombe trovarono la morte anche i garibaldini Pietro Lavagnolo[3], di Udine, ufficiale nelle Guide, prode del Volturno, di cui Garibaldi scrisse: parte preziosa del nostro sangue versato in difesa della nostra santa causa,e Antonio Bettoni, di Cremona, pure lui ufficiale. Lavagnolo, fu sepolto nella chiesa di Pettoranello[4], le spoglie del Bettoni, invece, furono trasportate a Milano[5].

La fanfara del Battaglione che due settimane prima, a Maddaloni, aveva salutato col "patriottico inno" il Gen. Giuseppe Garibaldi, fu barbaramente trucidata sotto il ponte di Pettorano, dove aveva cercato riparo.

Vittima innocente dello scontro fu una pettoranellese: Angela Rossi figlia di Giovanni e di Rosa Lieggi e moglie di Vincenzo Isidoro Ruberto, di anni trentacinque. Perse la vita a seguito di un colpo di fucile, molto probabilmente fu confusa con un garibaldino poiché indossava uno scialle rosso.

Sorte diversa toccò a Francesco De Nunzio (capitano della legione di De Marco), fatto prigioniero, fu condotto prima nelle carceri di Isernia e poi inviato a Gaeta per essere rinchiuso nei sotterranei del castello ed infine ritrovarsi libero il 12 novembre a seguito di uno scambio di prigionieri.

Il “pittore del grigio” Giocachino Toma (autore della celebre tela: “Roma o Morte”), dato per morto, vagò invece per le campagne fino a Castelpizzuto, dove, riconosciuto garibaldino, venne preso e portato prigioniero a Roccamandolfi per poi essere affidato ai gendarmi e tradotto nel carcere di Isernia dell’Annunziata ed infine liberato la sera del 20 ottobre.

Migliore fortuna ebbe il Capitano di Portocannone, Achille Campofreda[6], che riuscì a trarre in salvo i suoi uomini.  

Intanto i “sanfedisti” avevano ormai preso Pettoranello e bruciato la casa di Nicola Santoro[7], nonché picchiato e tradotto in carcere il Santoro con i figli e altri parenti ed amici, in attesa di fucilazione (ritornò in libertà tre giorni dopo a seguito della presa di Isernia da parte del Gen. Cialdini).

Il 20 ottobre arrivò il Cialdini con le truppe sabaude e affrontò per la prima volta le truppe borboniche del Mar. Scotti-Duglas, sul Macerone, sconfiggendole. Entrato in Isernia sedò la rivolta con il pugno di ferro, processi sommari e fucilazioni.

Gli eventi reazionari di Isernia e la dura repressione del Cialdini, compromise seriamente i rapporti tra la gente della cittadina pentra ed il nuovo stato, tant’è che lo stesso Garibaldi decise di recarvisi (28 ottobre 1860) per proclamare un discorso di pace incentrato sulla tradizione sannita[8], richiamando l’episodio delle Forche Caudine come modello di unità della penisola in funzione anti-romana.

Francesco Nullo, su cui ricade la responsabilità dell’eccidio per imprudenza, tempo dopo venne arrestato a Sarnico mentre organizzava, con altri garibaldini, una spedizione per la liberazione del Veneto, fuggito si unì a Garibaldi nell’avventura dell’Aspromonte. Rinchiuso al Bard per un breve periodo si unì ai moti polacchi per l’indipendenza dalla Russia durante i quali morì, 5 maggio 1863, a Krzykava all’età di 37 anni. 

 

Fonti e riferimenti:
 

* La Camicia Rossa (Cap.V – I Sanniti moderni) di Alberto Mario
* Da Quarto al Volturno di Giuseppe Cesare Abba
* Da Marsala al Volturno di Emilio Zasio 
* La spedizione di Isernia di Domizio Tagliaferri (vedi: Memorie Politiche di Benevento)
* Memorie Politiche di Benevento (La “rivoluzione” del 1860 a Benevento) di Salvatore Rampone
* Ricordi di un orfano. Autobiografia di Gioacchino Toma
* Il 1860 a Isernia, Pettoranello e Carpinone - Notizie storiche di Pietro Valente (vedi: Antologia della Reazione)
* Vite degl'Italiani: benemeriti della libertà e della patria di Mariano d'Ayala
* Diario dei martiri italiani dal 1176 al 1870 di Gabriele Fantoni
* Sprazzi Poetici - Poesie Discorsi Personaggi (Dal Volturno a Pettoranello) di Nicolino Polcino
* Il Brigantaggio nella Provincia di Benevento 1860-1880 (Come nasce una provincia) di Luisa Sangiuolo
* Antologia della Reazione a cura di Gabriele Venditti 
* Storia delle due Sicilie dal 1847 al 1861 - Vol.4 – (libro vigesimottavo) di Giacinto de’ Sivo


 


[1] La famiglia Santoro, era una famiglia di possidenti trasferitasi presumibilmente da Salerno, tra i suoi componenti vantava: arcipreti e avvocati; a Pettoranello ricoprirono cariche di Sindaco, di Segretario Comunale e Commissario Prefettizio; un loro discendente, Enrico Santoro, arrivò a ricoprire la carica di Presidente della regione Molise dal 1990 al 1993. A loro è legato anche un proverbio tipicamente pettoranellese: “k‘ na palla d’ nu turnese, s’è quietate ru paese” (con una pallottola costata un tornese - moneta di rame emessa dagli Aragona a Napoli alla metà del XV secolo e battuta fino al 1861 - si è riportata la tranquillità in paese); l’espressione è legata all’assassinio di uno dei componenti della famiglia Santoro mentre risaliva a cavallo l’odierna via Vittorio Emanuele (ex via d’ Sott), gesto maturato, sembra, a causa di alcuni inganni che i Santoro, unici eruditi in un paese di illetterati, avevano perpetuato a danno dei beni di alcuni pettoranellesi.
 
[2] Notizia ripresa dall’Eco di Bergamo in un articolo del 17/02/1987.

[3] Lavagnolo Piero. — Nella città di Udine, riavuta dall'Italia dopo tanti e tanti anni di speranze e di dolori, nacque dall'ingegnere Antonio e da Antonietta Torelli, coniugi udinesi, Pierino Lavagnolo, a dì 31 di marzo 1835. Ammaestrato nelle scuole e più per opera del genitore, consegui nel 1859 la laurea dottorale siccome ingegnere censuario a Milano. Ma non volle più saperne quando scoppiò la guerra, e corse a Torino per scriversi soldato nel reggimento Piemonte a cavallo, da cui congedato al termine della guerra a metà fortunata ritornò al primo suo officio. L'amor della patria negli animi gentili e generosi è sempre primo e prepotente, sicché all'annunzio della impresa di Garibaldi l'anno dopo, non fece a tempo il Lavagnolo di partire co' primi, e mosso fra' secondi entrò in Palermo fra le guide a cavallo del Dittatore. Guerreggiò in Milazzo, in Calabria e nella sanguinosa e rabbiosissima giornata sul Volturno il primo di ottobre, dove una palla di moschetto gli spezzò la sciabola. E fosse pur morto allora! Perocchè, già insignito per merito di guerra della medaglia di argento al valor militare, andò col colonnello Nullo a sedare i moti de' nemici della libertà e d'Italia in Isernia, e colà dopo fiero combattimento, mentre conduceva in salvo il suo dilettissimo compagno d'armi ed amico ingegnere Bettoni ferito, con lui rimase ucciso sul campo a dì 19 di ottobre di quell'anno incancellabile 1860. [Vite degl'Italiani: benemeriti della libertà e della patria di Mariano d'Ayala]. 

[4] PIETRO VALENTE, Il 1860 a Isernia cit. «I morti dopo tre o quattro giorni furono seppelliti presso il ponte ove furono assassinati, per cura del sacerdote D. Giovanni Armenti della borgata Guasto di C. Petroso. Due però furono inumati a Pettoranello, di uno di essi furono prese le ossa dalla famiglia e portate nel paese natio (Bettoni? Mori?); di un altro, Lavagnolo, le ossa si conservano in una cassetta di legno coverta da una tela bianca, su cui leggesi la seguente epigrafe, dettata dal fu arciprete D. Alfonso Gentile; così riferiva [1932] il compianto Aurelio Ruberto nel mostrare la cassetta, nella cappella sotto cui era la fossa comune, aggiungendo che una signora vestita a lutto era andata a Pettoranello a vedere le ossa di suo figlio ma poi le aveva colà lasciate. L‘epigrafe dice: DI SILVIO ITALICO LAVAGNUOLO/DISTINTO PER NATALI, CUORE, MENTE, CARITÀ DI PATRIA/SON QUESTI I MORTALI, ARIDI MA GLORIOSI AVANZI/EGLI IN MOLISE SI EBBE VITA NEL DÌ… DEL 18…/AI PARENTI MAGNANIMI/ANTONIO E … A LUI DI MASCHIA VIRTÙ MAESTRI SÈ STESSO VOTÒ ONDE UNA E INDIPENDENTE L‘ITALIA/PRODE CADEA/SUL SUOLO DELL‘ALPESTRE STORICO SANNIO/ PUGNANDO DA FORTE/IL GIORNO 17 OTTOBRE 1860/AL CITTADINO EROE SIA ETERNA PACE,/AI MESTISSIMI SUOI, CORAGGIO E CONFORTO.». 

[5] Di Lavagnolo scrisse Garibaldi: parte preziosa del nostro sangue versato in difesa della nostra santa causa. Fu sepolto nella chiesa di Pettoranello. Le spoglie del Bettoni furono trasportate a Milano [Diario dei martiri italiani dal 1176 al 1870 di Gabriele Fantoni]. 

[6] “Si certifica da noi sottoscritti Comandanti la Colonna del Sig. Nulli che nell'attacco di Carpinone e Pettorano dove tutti per mancanza di regolare direzione saremmo rimasti vittime di sterminate masse reazionarie e di numerosi falangi della soldatesca Borbornica, se la prudenza ed il vivo coraggio del Capitano di Portocannone in Molise Achille Campofreda non avesse con accorgimento militare regolato la ritirata, che fu eseguita con un vivissimo fuoco. Ad onore perciò del vero noi stimiamo nostro obbligo testimoniare a nominato Campofreda la nostra ammirazione per la sublime abnegazione da lui con tanto coraggio dimostrata.” Campobasso 20 ottobre 1860. 

[7] Stefano Jadopi avendo molto perduto, e dovendo ancor molto salvare nella sua tralignata patria, aveva sollecitato presso il governo dittatoriale delle forze da spedirsi contro Isernia. Il generoso e conosciutissimo Girolamo Pallotta da Bojano, che aveva in tempi pericolosissimi pronunciato un Governo provvisorio in quella Città, trovandosi in Napoli operosamente cooperò col Jadopi le istanze, e come Maggiore della Guardia Nazionale del Distretto ottenne, e precedè la spedizione garibaldina comandata dal Colonnello Nulli, che tra disagi e forti marce giunse nella valle tra Castelpetroso e Pettorano (16-17 ottobre), ove appiattati i regi, ed i reazionari nascosti tra le pietre delle fiancheggianti colline, attaccarono all’impensata i generosi che per fortissima perdita dovettero ritirarsi in Bojano. I popolani all’auge di una tale vittoria sfogarono le loro private vendette contro Nicola Santoro di Pettorano con incendiargli la casa, ed uccisero i fuggenti liberali Saverio e Gaetano de Blasio di Carpinone, con Francesco Sassi figlio di quel Cancelliere circondariale.[La reazione avvenuta nel distretto d’Isernia - dal 30 settembre al 20 ottobre 1860 - (anonimo 1861 – in realtà Stefano Jadopi)]. 

[8] «I campi celebri di Maratona co’ loro tumulti notturni, che la fervida poetica immaginazione de’ pastori dell’Attica narrava anche in tempi remoti alla stupenda battaglia dell’indipendenza Greca, quei superbi campi e quei fatti gloriosi ebbero la fortuna d’esser cantati da due dei più potenti genii poetici ch’abbia prodotto il mondo: Byron e Foscolo. E perché non troveranno i loro vati anche le forche Caudine ed i campi di battaglia dell’indipendenza Sannita?» - [estratto del discorso di Giuseppe Garibaldi in Isernia].